Transerra 2018

Di Dario Ghela (aka Mullah)


Il Transerra 2018 partiva sotto il segno dell'incertezza. La data scelta al volo, giusto un paio di settimane prima, quando ci siamo accorti che cominciava a fare già troppo caldo. Dilaniati dalle lotte intestine per la successione al trono, i membri più ardimentosi del Pimpa su cui riponevamo le speranze di una partecipazione, anche parziale, a questo giro che è già un instant classic, si sono defilati uno ad uno adducendo le scuse più imbarazzanti. Poco male, solo i puri e forti sopravvivono a
SpartaMonte Pisano (cit.)
Il caldo, dicevamo. Il grande demone di questo giro, almeno per Gio (io, si sà, sono un rettiliano, non sudo e non temo le condizioni atmosferiche). Non una nuvola in cielo, temperatura piacevole che ci convince a non caricarci di maglie o antivento che sarebbero sicuramente superflui. Con un colpo da maestro di strategia logistica degno di Rommel, lascio le chiavi della mia macchina, che abbiamo lasciato a Ripafratta e che servirà per riportarci a Vicopisano, in macchina di Gio per l'appunto Vicopisano. Ma questo lo scoprirò solo molto, molto più avanti. Il giro che abbiamo in mente è in linea di massima molto simile all'edizione ZERO del 2017. Partenza ore 8.20. Salita verso la Verruca, le mortali rampe del Lombardona (rigorosamente  piedi) e si procede spediti verso la prima discesa, il Babus. Sempre bello, sempre incazzato, e sempre piacevole.
Il giro prosegue sulle tracce dell'edizione dell'anno passato. Raggiunta la strada, ci portiamo senza troppa fatica sul Cascetto, per la prima novità di quest'anno: l'Alfà. Già scassato e traditore a cose normali, con gli attacchi (si, è ormai tradizione che io affronti questi giri con gli attacchi, ancora non ho capito perchè) sembriamo ancora più impediti del solito. Ma la bella giornata e la bellezza di questo piccolo tratto della mitica linea Alfa ci riempie di soddisfazione come ogni volta. Sulla Bisanolta c'è da andarci, per cui ne approfittiamo per affrontare per la prima volta la nuova variante (leggenda vuole che sia stata disegnata sotto la diretta supervisione di Alfà in persona). Un po' una delusione a onore del vero, l'impressione è quella di aver voluto mettere troppe curve e troppo strette. O forse siamo noi che ci stiamo abituando ad un modo di concepire la MTB che non prevede più l'affrontare percorsi che non siano stati pensati per essere fatti a tutta su una maledetta bici da enduro.


Ad ogni modo, tra silenzi e tribuna politica, la sempre bella (e sempre troppo snobbata) Bisantola ci porta a Campo di Croce dove ci concediamo la pausa pranzo. Come un monito di quanto ci aspetta, un xcista tutto tirato schianta la catena alla terza pedalata della salita del Faeta. Giusto il tempo di fare del bene aiutando il poveretto con la nostra officina mobile e si riparte. 

Il Faeta ci regala, come ogni volta, un panorama notevole, anche con una leggera cappa di caldo come quella di oggi. Appurato che anche stavolta "cinghiali no, non ce n'è", ci fiondiamo veloci giù per i Nonni, puliti come non mai (forse grazie al passaggio del TMP). Belli, fossero più lunghi sarebbero uno di quei "sentieri da finocchi" tanto cari ad Ale che mi farei più spesso. Ovviamente canniamo la deviazione e ci infiliamo nel finale scavato che si candida a diventare uno dei canyon più tosti del monte (dove Gio peraltro rimedia la prima delle sue due cadute).
Di nuovo su carrareccia, pochi km e ci infiliamo veloci nel Rockline, che nella seconda parte fa il pari con il finale Bisnonno in quanto se parliamo di canyon cazzuti (grazie tante enduristi a motore).



Il Passo di Dante sarebbe stato il momento della verità, lo sapevamo fin dall'inizio. Qui la fatica comincia a farsi sentire, sappiamo che i sentieri  e le rampe che ci aspettano prima di entrare nel magico regno fatato del Ciapino ci piegheranno. Sul Caronte nasce un piccolo dibattito: sentiero insulso per me, tutto sommato passabile per Gio. Il disco rotto e la seconda caduta del dottore mi danno ragione. Il ricordo della rampa che ci aspetta per tornare alla Croce, fatta durante il Transerra Night, ancora mi tormenta nei miei incubi; tuttavia lo sgamino individuato quasi per caso spulciando la mappa sul telefono ci salva dalla suddetta rampa e da morte certa. Il peggio è quasi passato: un altro paio di pettate lungo lo 00 in direzione 4 Venti, un rapido pisolino alle Cimette, e siamo alla Degna. Qui sono a casa, tutto mi fa sentire meglio, il colore dei boschi di castagno, la vista del Serchio, le discese che conosco a memoria. La Degna fila via veloce, così come la risalita verso il Monumento e l'ultima discesa che ci aspetta. Lecciaia, Nobby, Rupevaca, tanti nomi per un classico della zona. Un bel sentiero vario, con piccoli segmenti tecnici e un finalone che vola via veloce.
Siamo arrivati. Stanco (lui), contenti (entrambi), vivi e tutti interi.


L'epicità della prima edizione resterà insuperabile. Ma il Transerra è un'esperienza bella a prescindere, un omaggio al Monte, una di quelle cose che ti fa stare bene, che ti riporta con i piedi per terra e ti sbatte davanti la bellezza di un territorio così vario e così troppo spesso ignorato come il Monte Pisano.
Sarebbe bello, un giorno, affrontarlo tutti insieme. Ma come dicevano gli spartani, solo i duri e forti...



46km 2270m+




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